Litanie del silenzio

Ladolfi editore, collana Zaffiro, gennaio 2021.

La poesia di Giancarlo Stoccoro si nutre dell’inespresso di sentimenti ed emozioni stratificati nel tempo della vita: «C’è nella nostalgia/un cifrario sottratto alle leggi del cielo//il profumo di un fiore/che non smarrisce lo sguardo//al concorso dei vivi/solo di questo il poeta scrive»; la scrittura poetica consente di «Mettere a nudo il buio/ritrovare la forma/che ogni ombra porta con sé», senza dimenticare che «Ciò che unisce davvero/è sempre un filo invisibile», e «Le distanze/non le presenze/accolgono orizzonti» (dalla prefazione di Giovanna Rosadini).

 

Nota di lettura di Franca Alaimo

Quello di Giancarlo Stoccoro è un libro fortemente strutturato, in un alternarsi di testi poetici e prosastici, senza spaccature di pensiero, traendo gli uni luce significante dagli altri, sebbene caratterizzati da uno stile diverso, dando voce i primi all’arcano dei processi psichici, i secondi a micro-eventi essenzialmente autobiografici, se facciamo rientrare in essi anche la pratica di psichiatra dell’autore. Il tutto immerso nella dimensione dell’alternarsi delle stagioni (nella sezione  dal titolo di per sé alludente a un gioco: “La girandola dei mesi”) fra un’apparente leggerezza – evocante una celebre filastrocca che tutti abbiamo imparato da bambini- e una meditata consapevolezza delle intime, personali fragilità.

            Il tempo, contato a passi, che è una delle tante parole ricorrenti, mentre imita l’incessante movimento della psiche tra passato e presente, investe le molte e oppostive dimensioni dell’esperienza: il cielo e la terra, la luce e il buio, la realtà e il sogno, l’esteriorità e l’interiorità, grazie alla funzione dello sguardo, a volte soltanto orizzontalmente proiettato sulla superficie delle cose, altre volte spinto nella verticalità/profondità del non visibile, del non esprimibile.

            Se le forme, però, sono destinate ad essere inghiottite, fragili come foglie (che è uno degli emblemi della transitorietà più usati nella  letteratura e a cui Stoccoro non si sottrae, aderendo in genere alla tradizione come riserva di archetipi iconici- ma non mancando di stupire con immagini del tutto inusitate), ben altre sono quelle che si incontrano nello spazio onirico in cui distopicamente si collocano i corpi «di un presente lontano», dove finalmente possono essere ascoltate le Litanie del silenzio, cioè le voci degli assenti, dei morti, perfino delle cose e dei luoghi perduti, le sole colme di vera significazione, se è vero che spesso «le parole nude» della quotidianità «non si fondono con le stelle».

            C’è bisogno – dice il poeta – di visionarietà, di lasciare «a terra le grandi mappe» fare scorrere le parole controvento, «nei territori del cuore», di riappropriarsi dell’integrità dell’infanzia, smettere ogni finzione («La vita è tutto un far finta/ di essere grandi»), abbandonare ogni recinto e limite, perché tutto possa fluire nel movimento successivo. Un atteggiamento della psiche che trova una conferma estetica nella scrittura del poeta milanese: i suoi testi poetici non solo non si chiudono mai con il punto fermo, ma sovente sembrano sviluppare un’immagine presente nel testo precedente in quello successivo: «i fiori recisi» del testo a pagina 17, «sbocciano/ nel quadro ultimo di mio padre» nel testo della pagina successiva: «la sartoria dell’alba» (pag. 48) torna, sia pure obliquamente, nella «cerniera/ tra il sogno e il vestito di un giorno» (pag. 49) come a indicare l’opera di cucitura che la poesia compie tra le cose “sole” dando senso e spessore, creando relazioni,  curando la lacerazione, moltiplicando gli incontri all’interno di una dimensione che si fa infinita. Così Stoccoro rivela il segreto epifanico del viaggio esistenziale, tra balenii di eternità.

            Timbro e registro lessicale mutano nella sezione “Vite in prosa” in cui ritorna la punteggiatura e il periodare, per lo più paratattico, ubbidisce e all’ordine espositivo e alla limpidezza espressiva: ricordi d’infanzia, traumi e nevrosi, ipocrisie, piccole manie, raccontate con una felice varietà di toni tra ironia e autoironia, liricità, pensosità, e struggente malinconia. Ma il libro non trova qui, come si potrebbe pensare, in un rimando a specchio di temi da poesia a prosa, la sua ricerca di significato, ché, come dice Rilke (II, 20, Sonetti ad Orfeo): «Distante è tutto e il cerchio in nessun punto si chiude», ma rimette in moto le sue visioni nella sezione finale “Sguardi diversi”, in cui ritornano le parole chiave della raccolta in testi di pochi versi, quasi degli aforismi poetici che finiscono con il disegnare la poetica di Giancarlo Stoccoro: la ricerca inesausta di dilatazione e spostamento di ogni confine attraverso l’immaginazione, la centralità conoscitiva del sogno, l’integrità e lo stupore dello sguardo, la capacità di fare luce anche nel buio e nel dolore, e la convinzione che la poesia «non chiede ospitalità/ la offre da sé».

Franca Alaimo, 17 febbraio 2021

Nota di lettura di Antonio Bianchetti

La poesia di Giancarlo Stoccoro si arricchisce di un’altro bellissimo tassello della sua pregevole produzione letteraria: “Litanie del silenzio” (Giuliano Ladolfi Editore).
Questa raccolta di liriche è l’ideale prosecuzione di un percorso intrapreso dall’autore in questi ultimi anni con una serie di sillogi veramente interessanti, in cui, la cadenza del verso, s’identifica attraverso un codice stilistico fatto di impressioni interiori, e come tali rimangono, per emergere piano piano a prendere aria. È come se tutto un substrato dell’inconscio prendesse voce appena in tempo per sentirsi parte della personalità dell’autore, il quale, ricongiungendosi al suo io nascosto, si sentisse finalmente libero da un peso misterioso: qualcosa che ci lega al mondo razionale impedendoci di creare un contatto spontaneo con una realtà più ampia, senza confini o costrizioni. Tra l’altro Giancarlo Stoccoro è psichiatra e psicoterapeuta, ed è anche colui che ha portato in Italia la tecnica del Social Dreaming, o del sognare insieme, in cui si condividono i nostri sogni dopo la visione di un film. Tutto questo per dire che la nostra parte oscura è il territorio dove il poeta spesso sconfina, scoprendo come l’universo sia un luogo piccolo in confronto ai labirinti o alle meraviglie della nostra mente, sempre in equilibrio fra sofferenza e gioco.giancarlo stoccoro libri

Fondamentalmente, anche in quest’ultima raccolta, leggiamo (o assistiamo) alla continuità di queste esperienze in cui, la facilità del proporre, o di proporsi sotto una forma di equilibrio, in realtà, annulla ogni forma di gravità. È come se l’autore si guardasse dall’esterno fino a evaporare con le sue stesse frasi. Le sue metafore sono sempre di una leggerezza quasi impercettibile, eppure, lentamente, prendono forma come se il ciclo della natura riformulasse il liquido da cui sono nate, come dei cerchi concentrici sempre in movimento. Badate bene, a prima vista ogni parola vive nella sua semplicità, e poi man mano si arricchisce del suo splendore intrinseco come lo sbocciare di un fiore o come un libro che ad ogni pagina svela la sua ricchezza, mostrandosi con tutti i suoi significati. È sorprendente come soffermandosi sopra questi componimenti si percepisce piano piano il loro spessore creativo e ci si sente affascinati, proprio come toccare l’acqua e avvertire quel senso di meraviglia della sua essenza, con tutti i movimenti che produce, entrando e uscendo da lei con una facilità unica nel suo genere.
La raccolta è costituita da quattro sezioni: Litanie del silenzio; La girandola dei mesi; Vite in prosa e Sguardi diversi; tutte con una essenza propria ma sempre legate fra di loro con l’unità di stile che le rappresenta, anche se per esempio nella terza parte l’estensione del verso che diventa racconto, si ciba delle parole delle parti precedenti per poi scarnificarsi ulteriormente nel finale.
Ritornando al paragone con il sogno, sembra proprio che il poeta si lasci andare senza prendere sonno, entrando nei momenti apparentemente vellutati di un dormiveglia continuo, ma abbastanza concentrati per disegnare la loro visione e diventare realtà. Sostanzialmente l’ossimoro del titolo è la sua chiave di lettura, calata nell’ambivalenza di una meditazione continua e di una risposta svelata nella sua indissolubile presenza: “la poesia non chiede ospitalità / la offre da sé”.

da “Litanie del Silenzio”

 

Ogni sogno
ci riconosce dagli occhi

Se l’infanzia ha dormito a lungo
stanotte sarai farfalla

Sperimenterai un breve volo
vorticherai come le foglie
in anticipo sul tuo autunno

***

Avviciniamo le parole ai giorni
i giorni alle cose senza voce
fino a posare lo sguardo su una frase

quasi la frase fosse un albero
che muove l’ombra
le dà nuova luce

***

Gli occhi si prestano alle fate
hanno il vizio di guardare il mondo
con ritrosia di cielo e forme
che collassano al primo buio

fanno sguardo dappertutto
quando i giorni passano
e nessuno li ferma

***

Il merito è dello sguardo
che anticipa la forma
e abbraccia un contenuto straniero

La finestra si porta al di là degli occhi
accoglie la luce
l’accompagna nella più segreta stanza

Ho questo timore ogni mattina
quando apro i battenti
un diavolo mi conduce
tra braccia sconosciute

***

Ci si accompagna a un racconto
quando il passo è d’uomo
e maturo lo sguardo che incalza

Avremo poca pace
inseguendo il dettato del giorno
dopo aver gettato il sasso nello stagno

A più ampi cerchi trova rifugio
chi lascia tracce
senza precipitare nell’ombra
di una notte qualunque

Basterebbe darsi tempo
rovistare nei ricordi
badare alla forma come fa l’alba
la mattina presto
prima di ricostruire tutto

***

Da novembre il gelo è rimedio naturale
a chi resta assediato dalla carne

Solo alberi nudi e senza braccia
scavano nella madre terra

Con le coperte addosso
non è difficile
sognare di essere in due

***

Da quando esiste lo sguardo
le anime si sono fatte invisibili

***

Fino a quando un dolore ti guarda
dovrai fidarti della mano che lo saluta

***

Tra un sogno e l’altro
nel buio s’inciampa

***

La poesia non chiede ospitalità
la offre da sé

Giancarlo Stoccoro

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La poesia è da sempre un prodotto particolare, un’espressività artistica a volte difficile da affrontare perché non ha l’immediatezza della musica o dell’immagine, però quando si riesce ad entrare nella sua bellezza, lei riesce a far esplodere tutte le forme dell’emozione. Nella vita è sempre così e Giancarlo Stoccoro ha la particolarità di riuscire a catturarti e poi lasciarti andare senza nessuna preclusione. Siamo sempre noi che dobbiamo saper gioire per una parola.
Antonio Bianchetti , 22 febbraio 2021

Giancarlo Stoccoro – Litanie del silenzio

 

Recensione di Gabriella Mongardi

L’ultima raccolta poetica di Giancarlo Stoccoro, Litanie del silenzio, Ladolfi editore 2021 – in particolare la prima sezione, quella che vi dà il titolo – è come un mazzo di fiori di montagna, in cui la bellezza dei singoli fiori è esaltata all’armonia della composizione. Sono semplici i fiori di montagna – narcisi e genzianelle e orchidee, ranuncoli e rododendri, anemoni e bistorte e salvie – come semplici, comuni sono le parole-chiave che si rincorrono nelle poesie di Stoccoro (“finestra”, “occhi”, “sguardo”, “cielo”, “nuvole”, “sogni”, “infanzia”, “distanza”, “passi”, “silenzio”, “parole”, “foglie”, “fiori”, “albero”…) concatenandole l’una all’altra in una trama sottile di rifrazioni, di echi musicali, di impercettibili scarti semantici che aprono il codice della lingua a significazioni ulteriori. È tutto un fiorire di metafore attraverso cui si fa strada e trova espressione l’irrazionale, il non-detto, il sogno, il rimosso: quello a cui nella vita diurna non diamo spazio viene qui raccolto e ci viene offerto in dono. Giunge sulla pagina da distanze incalcolabili, dai recessi dell’infanzia, con il profumo dell’altrove – un lieve profumo di nostalgia che non spaventa ma attrae, proprio grazie all’armonia della composizione – come quella di un mazzo di fiori. E come un mazzo di fiori è tenuto insieme da un nastro, così qui i versi sono racchiusi tra due brani in prosa poetica, che ne costituiscono per così dire un “commento d’autore”: «Il sogno porta la lingua del digiuno, la litania di un silenzio»; «Lasciare in sospeso una frase non è mancanza di un’idea ma attesa che esca dal bozzolo, che si trasformi in farfalla prima di volare via».
Vale per Stoccoro quello che scrive Ungaretti in Commiato: «Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso». La poesia dà voce al silenzio, all’indicibile, ed insieme esige che il poeta faccia “silenzio” dentro di sé per accogliere le parole, collegarle in frasi, trasformarle in qualcosa che illumina l’ombra. Come una farfalla. O un mazzo di fiori.
Avviciniamo le parole ai giorni
i giorni alle cose senza voce
fino a posare lo sguardo su una frase
quasi la frase fosse un albero
che muove l’ombra
le dà nuova luce. 

La seconda sezione della raccolta, La girandola dei mesi, consta di dodici componimenti sul tema dei mesi e delle stagioni – come era naturale  aspettarsi – ma in realtà il poeta non segue il calendario né dedica a ogni mese un componimento:  i mesi protagonisti della prima poesia, per esempio, sono luglio, settembre e novembre, e all’appello manca il mese di aprile. Anche in queste poesie ritornano le parole-chiave della precedente sezione (“sguardo”, “ombra”, “foglia”, “albero”, “occhi”, “luce”…), anche qui continua il gioco di specchi, di rimandi, di intrecci – nella speranza forse di perdere il conto dei mesi che passano inesorabili.

Nella terza sezione incontriamo Vite in prosa, come se la misura breve dei versi non potesse più contenere la piena del discorso, la volontà di comunicare. Le prose sono ugualmente brevi, a volte brevissime, ma almeno non si deve andare a capo prima della fine della riga, la frase può distendersi a suo agio sul foglio, e fermarsi solo con il punto fermo, quando è finita… In esse affiorano più espliciti i riferimenti autobiografici – alla professione (Il divano rosso), alla famiglia (Ritratto di famiglia), alla madre che vive in un mondo a parte (Curiosità cieca), all’amore per i libri, che vengono addirittura personificati: «I libri non si suggeriscono, vengono da soli a bussare alla porta. Io ne ho una fila lunghissima in impaziente attesa. All’inizio entravano uno alla volta, da tempo, però, hanno creato un varco grande e si sono piazzati a migliaia in ogni angolo della casa. Appena incrociano il mio sguardo […] mi supplicano di prenderli in mano, di sfogliarne almeno le prime pagine. I libri hanno bisogno di essere coccolati, non si accontentano di un posto al caldo nella seconda fila di una vecchia libreria dell’Ikea» (Bibliofilia).

Nella quarta sezione, Sguardi diversi, il poeta cambia ancora misura e questa volta sceglie quella dell’aforisma – del resto Stoccoro ha pubblicato, sul sito www.frasicelebri.it, oltre un centinaio di aforismi, che nelle sue mani diventano brevissime, folgoranti prose poetiche, una via di mezzo tra versi e prosa. Ne cito uno solo, emblematico: «La poesia non chiede ospitalità  /  la offre da sé». Leggere questo libro di Giancarlo Stoccoro significa essere ospiti della poesia.

http://www.margutte.com/?page_id=415

 

Giancarlo Stoccoro – Litanie del silenzio

Abbas Kiarostami – Rain (23) (2007)

Recentemente, dovendo scrivere sulla poesia di Giancarlo Stoccoro, l’ho definita un catalogo ragionato di emozioni, aggiungendo che le emozioni costituiscono materia che il poeta e lo psichiatra insieme maneggiano quotidianamente: Stoccoro è infatti, per chi non lo sapesse, uno stimato psichiatra e psicoterapeuta.
Nella raccolta Litanie del silenzio, uscita nel 2021 per Giuliano Ladolfi Editore prosegue con coerenza il suo discorso poetico che porta avanti da anni.
Scrive Giovanna Rosadini nella sua prefazione: “Capace di sorprenderci con immagini tanto inedite quanto, una volta attraversate con la lettura, esatte ed efficaci («Alcune distanze hanno la locomotiva in cielo/attraversano la terra buia dell’attimo / / altre sembrano incise su luminose stelle/sono cieche come tordi da richiamo»), la poesia di Giancarlo Stoccoro si nutre dell’inespresso di sentimenti ed emozioni stratificati nel tempo della vita: «C’è nella nostalgia/un cifrario sottratto alle leggi del cielo//il profumo di un fiore/che non smarrisce lo sguardo//al concorso dei vivi/solo di questo il poeta scrive»; la scrittura poetica consente di «Mettere a nudo il buio/ritrovare la forma/che ogni ombra porta con sé», senza dimenticare che «Ciò che unisce davvero/è sempre un filo invisibile», e «Le distanze/non le presenze/accolgono orizzonti».”
Di seguito una breve selezione di testi da Litanie del silenzio.

Da Litanie del silenzio:

Ci avviciniamo alle cose
cerchiamo sostegno nelle parole mute
quando il silenzio assorda il paesaggio
e i morti smettono di tacere

Un pomeriggio asfaltato dai passi
richiama il corpo del libro
che incontra le nostre mani

I fiori sbocciano
nel quadro ultimo di nostro padre

* * *

Era per noi lo sguardo
una tela libera nell’aria

voce di richiamo
per chi aveva chiuso il respiro
all’umore tattile del giorno

L’isola del cielo
accoglie il simulacro del corpo
la forma liquida dell’anima

ferita aperta
sul nostro disincanto

* * *

Sosteniamo poco gli interrogativi

usciti dallo sguardo
vorremmo legittimare il buio
le ore suicide davanti all’insonnia

incapaci di impreziosire il silenzio
con voci di preghiera

abbiamo parole mozze
sversate a ogni angolo di frase

* * *

Ci facciamo trovare dai sogni
per non lasciare all’assenza
il compito di erigere ciminiere d’azzurro

Guarda anche tu
come vola ogni cosa
sembrava non esserci più
la parola che consola
il tempo visitato
dalle pareti di casa

È un’officina
anche il più piccolo sogno

* * *

Da Vite in prosa:

Foto di gruppo

L’altro ieri in una spiaggia piena di gente in costume, con
i naufraghi poco lontani dalla riva, abbiamo acceso un falò
per sostenere la luce, preda di ombre sempre più voraci.
Nessuno si sbracciava, nessuno che già lo fosse è caduto
in mare.
Siamo riusciti nel nostro intento, abbiamo fatto una
foto poco mossa, senza occhi rossi.

* * *

Da Sguardi diversi:

Si fa sguardo
dopo aver piegato la vita in un gesto di preghiera
pronta all’uso è la sillaba macerata nella carne

*

Fino a quando un dolore ti guarda
dovrai fidarti della mano che lo saluta

*

Se ti porti addosso un’infanzia infinita
non sarai mai vittima dei tuoi passi

 

Giancarlo Stoccoro – Litanie del silenzio

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