Guglielmo Aprile



In principio è già la fine, l’orologio a sabbia rimanda a un tempo ultimo. Eppure ogni testo porta immagini vivissime. Si voltano le pagine dei libri di Guglielmo Aprile come si gira la clessidra. E’ sempre il gesto che salva, anche quando il pensiero febbricitante sembra sprofondare nel buio certo. D’altra parte la poesia è questione d’abisso come ricordava Paul Celan nei suoi “Microliti”. In Aprile non sono mai concrezioni solide, quanto incubi ricorrenti che mutano continuamente forma e sguardo: incalzano il lettore, lo sfidano a seguirlo, a perdersi con lui. E noi non resteremo a guardare.

Giancarlo Stoccoro

 

Tre poesie di Guglielmo Aprile

 

Prognosi

Conosco il destino delle auto incidentate,
mi smantelleranno
Pezzo per pezzo, i beni in ipoteca
si svalutano, o si danno alla Caritas;


rifiuterò le cure palliative,
la chimica farà valere i suoi diritti:
presto avrà fine questa serie di oneri
così sterile,
digitare il codice di accesso,
orientare lo stendibiancheria
verso nord al mattino,
andare ad urinare ogni tre ore.

(Il talento dell’equilibrista, p.15)

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Non lo puoi mettere a tacere,
lo strepito degli schiavi ammassati giù nelle stive;
puoi solo confonderlo con il rumore più ampio
che culla le onde al largo:
è bello ma è anche pauroso,
è la carezza dell’oceano
sulla carena delle grandi navi.

(L’assedio di Famagosta, p. 106)

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Si masturbano, infaticabilmente,
su combattimenti fra gli scorpioni,
sui manuali di calligrafia,
sulle sinuosità di un posacenere
dalla forma di una pista di bowling,
su chi ha saputo per primo
chi ha vinto la gara condominiale di apnea,
su chi sia più capace di agghindare i propri giorni
fino a farli simili a frasi fatte o a battute offensive
su chi abbia nell’ultimo semestre fatto più soldi grazie al lenocinio,


e hanno dimenticato cosa è un albero,
e rifiutano da anni di dormire,
e non sanno che farsene
se il vento colma un otre dei suoni
e degli odori della campagna e lo offre loro in dono,
e hanno paura di correre nudi per la strada
all’abbraccio della pioggia,
ma reggono una sigaretta furba tra indice e medio,
atteggiandosi a quelli che hanno capito come si fa a vivere.

(I masticatori di stagnola, p.77)

Nota critica di Adriana Gloria Marigo a “I masticatori di stagnola” di Guglielmo Aprile, LietoColle, 2018

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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One thought on “Guglielmo Aprile
  1. Mi sveglio alle tre del mattino con questo senso di incomprensibile paura che mi opprime: come se avvertissi un pericolo indefinito e nascosto da cui mi sento minacciato; provo a chiedermi cosa sia a spaventarmi tanto, quale sia la causa per cui ho paura, cosa mi impedisca di sentirmi tranquillo, e mi rendo conto che un motivo non c’è, o comunque non lo vedo: il ‘mostro’ che mi tiene in scacco sembra celarsi all’indagine del mio sguardo; ma pur consapevole che la mia paura non avrebbe ragione di sussistere, non riesco a liberarmene, e me ne sento come strangolato.
    Ho il timore che l’ansia preluda alla psicosi: e se sviluppassi la credenza delirante che la realta che mi circonda, perfino quella inanimata, sia permeata da un intento ostile nei miei confronti? Mi chiedo come sia possibile che io sia finito a fare ragionamenti come questo, che mi appaiono cosi francamente privi di senso, e la cosa mi allarma, inducendomi a dubitare delle mie facoltà : e se non riconoscessi piu l’assurdità di un simile pensiero? E se finissi per aderirvi e, spaventato dalla sua incongruenza e dalla conseguente constatazione di aver perso il contatto con la realtà, perdessi il controllo e agendo d’impulso commettessi qualcosa di brutto? a questo punto sono disposto a qualunque cosa pur di quantomeno lenire questa sofferenza che pare insensibile ai miei tentativi di razionalizzarla…

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